Sara Bianchi

Sceneggiatrice - Story editor - Regista

Hamburger Sara Bianchi: regista, story editor, sceneggiatrice Torino

“TI MANGIO IL CUORE” DI PIPPO MEZZAPESA

Drama - Romance | 2022 | 115 min

Pubblicato su Agenda del Cinema a Torino | 27 Settembre '22

La poetica della bestialità

La recensione potrebbe contenere spoiler

1960. In un paese nel promontorio del Gargano la famiglia Malatesta viene sterminata dalla famiglia Camporeale. Unico superstite del massacro è Michele Malatesta, ancora bambino ma erede del clan.

2004. Michele Malatesta, ormai uomo, marito e padre, ha vendicato l’intera famiglia imponendo la propria egemonia sul territorio. La faida tra i Malatesta e i Camporeale, mai del tutto spenta, si riaccende però quando Andrea Malatesta, figlio prediletto ed erede, si innamora di Marilena Camporeale, moglie del capoclan avversario.

In un gioco di incontri pericolosi e passioni inconfessabili, i due amanti ripropongono la tragedia shakespeariana. A differenza di Romeo e Giulietta, però, la loro non è una storia d’amore ma di sangue. E quando Marilena rimane incinta del futuro erede Malatesta, la faida si trasforma in gabbia e l’amore in bestialità.

Ti mangio il cuore”, film che rielabora la storia dell’omonimo libro di Carlo Bonini e Giuliano Foschini (edito da Feltrinelli), racconta la brutalità di una mafia poco conosciuta ma largamente presente nel territorio del Gargano. Una ferocia fatta di silenzi, omertà e vendette che nel film scopriamo attraverso la storia e gli occhi di Marilena, donna realmente esistente (il suo nome è stato modificato per ragioni di privacy e sicurezza) e prima pentita che ha permesso, grazie alle sue testimonianze, di fare luce sulle dinamiche della mafia foggiana.

Il film è stato presentato nella sezione Orizzonti della 79° Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e vanta un cast di grande rilievo che è riuscito a dare credibilità e profondità ad una realtà, quella pugliese, spesso stereotipata e vittima di generalizzazioni nell’immaginario cinematografico italiano. Spiccano, tra i meravigliosi ritratti in bianco e nero che Mezzapesa incornicia in un Gargano brullo e selvaggio, i volti di Elodie – sorprendente in questo suo esordio – e Lidia Vitale, vera “pupara” della famiglia Malatesta e colonna portante del film.

Perché in un mondo di brutalità machista in cui l’eredità passa al maschio ed è il maschio a sedere a capotavola, le vere protagoniste del film sono le donne. Sono loro a generare l’erede, loro a tenere le redini delle famiglie e ad imporre la propria autorevolezza anche quando, come nel caso di Marilena, sono reiette in terra nemica. Sullo sfondo di una faida familiare, infatti, il vero conflitto – ben più viscerale e ancestrale – è quello che si consuma tra Teresa Malatesta e Marilena: madre e amante si contendono Andrea costringendolo a scegliere tra fedeltà al grembo materno e amore passionale, quasi manipolandolo e impedendogli di crescere in autonomia. A gestire il gioco, però, è senza dubbio Teresa, che la protagonista definisce “l’albero del veleno” e che, dopo la morte del marito, usa il figlio per consumare la propria vendetta trasformandolo in un assassino.

Ti mangio il cuore” è un film che parla tanto d’amore quanto di bestialità. Andrea Malatesta diventa emblema e vittima di questo dualismo. L’ingenuità e la purezza che lo caratterizzano all’inizio del film vengono rinnegate perché non adatte al suo ruolo e al mondo a cui appartiene. Lui deve accettare l’eredità paterna e diventare uomo. Così, a partire dal primo omicidio, comincia il processo di involuzione che lo trasforma in bestia. In fondo il film non fa che raccontare la stessa banalità del male teorizzata da Hannah Arendt. Andrea ci viene presentato come pecora ma è costretto, dal branco, a diventare lupo. Il lupo, però, muta e assume le sembianze di mostro nel momento in cui la vendetta familiare si trasforma in strage di innocenti.

All’inizio del film ci troviamo di fronte ad un sistema rigido e ordinato, alla fine del film due famiglie si sono sterminate a vicenda in una discesa agli inferi che porta alla perdita: perdita dell’innocenza, del rango, di se stessi. E tutto per una ferina brama di potere e di sangue in un’apologia del male che perde il controllo di se stessa e diventa cieco annichilimento. Ad arricchire il film rendendolo poetico e dandogli un’ulteriore livello di profondità e significato, le costanti e mai banali metafore con il mondo animale. Restano sullo sfondo, quasi casuali, perché le bestie fanno parte della scenografia, eppure ogni inquadratura che le vede protagoniste ha un preciso valore. La loro presenza, sin dalla prima scena, altro non fa che anticipare la condizione umana che si andrà lentamente svelando durante il film in uno sfoggio di brutalità sempre più cruda. All’inizio del film, infatti, i maiali mangiano i volti dei Malatesta uccisi. Alla fine, in un’inquadratura di pochi istanti, come un quadro forse pretenzioso ma su cui il regista non indugia rendendolo un dono per la meraviglia dello spettatore, le bestie arrivano a banchettare sul tavolo ormai vuoto della famiglia Malatesta.

La regia sapiente di Pippo Mezzapesa, che osando la scelta del bianco e nero aggiungendo forza e potenza alle immagini, ci mostra uno spaccato intenso e poetico di quell’Italia che è necessario strappare via al silenzio. Ma a brillare, con una narrazione avvolgente, profonda e sensibile, è senza ombra di dubbio anche la scrittura di Antonella Gaeta che, film dopo film, si conferma una delle penne migliori del cinema italiano.

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