Sara Bianchi

Sceneggiatrice - Story editor - Regista

Hamburger Sara Bianchi: regista, story editor, sceneggiatrice Torino

DA SEEYOUSOUND 9: THE ORDINARIES DI SOPHIE LINNENBAUM

Fantascienza - Drama | 2022 | 124 min

Pubblicato su Agenda del Cinema a Torino | 6 Marzo '23

Il gioco delle parti

«Pensi che le storie siano tutte già scritte?»
Cosa succede se si esce fuori dagli schemi o, come nel caso del film “The Ordinaries” di Sophie Linnenbaum, dallo script?
Primo lungometraggio di finzione e film di diploma della regista tedesca, “The Ordinaries” porta l’idea di predestinazione agli estremi fino al ribaltamento. Ma è anche una storia che parla di emozioni. Emozioni sbagliate, eccessive, nuove, spaventose, non necessarie o non abbastanza forti. Con un’operazione metacinematografica quasi impeccabile e per niente pedante il film è una metafora della società contemporanea capace di conquistare non solo i cuori degli addetti ai lavori ma anche degli amatori e appassionati, aggiudicandosi il premio del pubblico per la sezione lungometraggi di finzione della nona edizione del Seeyousound International Film Festival, conclusosi pochi giorni fa. Ancora una volta assistiamo ad uno sguardo femminile che racconta con delicata follia una società che crolla sotto le pressioni del sistema.

Con una rivisitazione in chiave moderna (e probabilmente inconsapevole) dei sei personaggi in cerca d’autore pirandelliani, il mondo che la Linnenbaum descrive è quello di una sceneggiatura che prende letteralmente vita, in cui le persone sono imprigionate nei personaggi al punto che ogni loro azione e frase è prestabilita dallo script…salvo eccezioni. È in questo contesto che incontriamo Paula, prima della classe alla Main Character School: quella per trasformarsi da Personaggio Secondario a Protagonista. Sì, perché la realtà in cui la regista ci catapulta (senza troppi preamboli o spiegazioni) è divisa in Personaggi Principali, Personaggi Secondari e Outtakes (tra cui Personaggi Censurati, Personaggi in Bianco e Nero, fuori sincro, tagliati – gli scarti, insomma). A pochi giorni dall’esame finale, il destino della giovane Paula subisce una brusca e non programmata/scritta virata. Tutto comincia quando scopre che nell’archivio dei flashback i ricordi di suo padre, importante Personaggio Principale morto durante una rivolta degli Outtakes, non ci sono. Comincia così un viaggio alla ricerca della memoria del padre che la porta ai confini dello script e a mettere in discussione il mondo che abita e la propria identità. L’impatto emotivo della ricerca è tale che il suo cuore si frattura e lei non riesce più a produrre musica (i Personaggi Principali hanno la capacità di produrre una personale colonna sonora in linea con i sentimenti). Le note sono stonate, la partitura si interrompe, il lettore di emozioni si incrina. Questo è solo l’inizio della sua avventura ma è proprio qui che incontriamo il primo grande punto di riflessione. I Protagonisti devono imparare a controllare le proprie emozioni al punto da renderle concrete, ovvero trasformarle in musica, ma quando cominciano a provare sentimenti veri (reali?) e forti, ecco che il meccanismo si rompe e il suono è corrotto. Ne dobbiamo dunque dedurre che nel mondo di Paula non è possibile provare emozioni autentiche? In un primo momento siamo indotti a pensare che, sì, è possibile ma solo per una parte della società.

Se da un lato, infatti, ci sono i Personaggi Principali che possono privare un ampio raggio di emozioni ed esprimerle con una apparentemente infinita quantità di battute e musiche. Anzi, hanno un tale potere sulle parole che una madre può permettersi di censurare il proprio figlio se questi si azzarda a dire qualcosa di “sbagliato” offendendo, per esempio, la categoria degli Outtakes, gesto imperdonabile per la società borghese e perbenista che la regista mette in scena in questo mondo non poi così tanto fantastico. Dall’altro lato ci sono i Personaggi Secondari che, aimè, hanno solo un limitato spettro di battute e sentimenti, come nel caso della madre di Paula che dice di essere preoccupata solo perché quelle battute rientrano nel ruolo di madre, non perché sia davvero consapevole di cosa sia la preoccupazione e di cosa si dovrebbe provare quando si è preoccupati.

Questa dualità e netta separazione, tra persone che possono e persone che non possono provare sentimenti, è resa subito evidente dal confronto tra Paula, “mezzosangue” e proletaria, e la sua amica Hannah, figlia di due Personaggi Principali e ricca.

Tutto sembra perfettamente in ordine – appunto – e coerente, un mondo perfetto che funziona. Eppure quando Paula comincia a provare dolore e confusione il suo sistema collassa, portandosi con sé anche quello dell’intero film.

In un mondo in cui gli unici a cui è data la possibilità di articolare frasi, discorsi e riflessioni sono i Personaggi Principali, che altri non sono che quelli più ricchi e, quindi, più potenti ovvero quelli che posseggono simpatiche museruole in grado di censurare ed eliminare emozioni (come la paura), in un siffatto mondo, dunque, possono esistere emozioni autentiche? La vera risposta alla fine del film è sì, ma sono relegate ai margini della sceneggiatura, nelle scene tagliate, nei passaggi macchinosi e nei personaggi fuori luogo, al massimo prima dei titoli di coda. E scena dopo scena questa metafora – che tanto metafora non è – diventa più reale della realtà, perché quanto spesso capita che le emozioni e i sentimenti individuali vegano censurati (o peggio autocensurati) in nome di un sentire collettivo sempre più spesso dettato da influencer e social media? Quante volte dietro una vita felice raccontata (e mostrata) da una trafila di fugaci ed effimere storie Instagram si celano sentimenti di ben altro tipo?
In una società che in modo sempre più prepotente impone un dover essere fatto di etichette che ingabbiano piuttosto che rendere liberi, in una realtà che comunica a stralci di 140 caratteri e che innesca dibattiti mondiali intorno al valore di una spunta blu, in un sistema in cui i potenti diventano sempre più potenti e i poveri sempre più emarginati o galvanizzati dal “divertissement”, viene naturale chiedersi: pensi che le storie siano tutte già scritte?

Dopo averci gettati nel turbinio di una trama contorta e ricca di colpi di scena, Sophie Linnenbaum sembra dare una risposta speranzosamente sovversiva a questa domanda. “The Ordinaries” racconta una storia stra-ordinaria, tracciando con stile impeccabile e pieno di personalità un conflitto che tocca ciascuno di noi. Lo fa strizzando l’occhiolino al mondo del cinema e a quello scenario vintage che mette d’accordo un po’ tutti da dieci anni a questa parte, ma usa questi elementi come pretesto per raccontare qualcosa di decisamente universale e attuale. Tuttavia, la vera magia di questa sorta di fiaba sci-fi e distopica (come la definisce la regista) è che, alla fine dei conti, altro non è che la storia di una madre che lotta per dare alla figlia la possibilità di esistere e di una figlia che rischia tutto per restituire alla madre la dignità e il diritto di sentirsi importante. Perché ciò che conta davvero è essere liberi di disegnare la propria storia.

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Agenda del Cinema a Torino

Sonne

Sara Bianchi

Sceneggiatrice - Story editor - Regista

sarabianchi.sa(at)gmail.com

Sara Bianchi

Sceneggiatrice - Script editor - Regista

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